domenica 7 luglio 2013

Noi, inventori della storia dell'arte


Salvatore Settis

"Il Sole 24 ore", 21 ottobre 2012 

Fare «storia dell'arte» non è ovvio. Tutte le civiltà umane hanno prodotto "arte", pochissime hanno prodotto anche una narrazione di eventi dell'arte. Perciò ha senso la domanda: come nacque la storia dell'arte? 
Nella tradizione occidentale la storia dell'arte è solo una parte della "letteratura artistica", un ambito assai più vasto che include i trattati sui colori o l'iconografia (come la Schedula diversarium artium di Teofilo), gli scritti di topografia artistica come i Mirabilia Urbis Romae e le descrizioni di immagini in poesia e in prosa (ekphrasis).
La produzione di "opere d'arte", che spesso ebbero funzioni miste (magiche, religiose, estetiche, politiche) è propria di tutte le culture umane conosciute. Poche civiltà, tuttavia, hanno sviluppato una qualche forma di "storia dell'arte", e cioè uno specifico genere letterario che disponga in narrazione storica le vite degli artisti e le loro opere. 
Nella Kunstliteratur di Julius Schlosser vengono indicati quali incunaboli della storia dell'arte i tre Commentarii di Lorenzo Ghiberti (1450 circa), che contengono biografie di artisti, organizzate secondo una parabola evolutiva, il cui inizio nell'antichità greco-romana – tolto dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio – è delineato nel primo Commentario.
Ma già nel Medio Evo vennero citate notizie sulle arti tratte da Plinio. In particolare Petrarca, che nel 1350 comperò a Mantova un manoscritto della Naturalis Historia e a margine di questo tracciò di suo pugno un disegno simbolico di Roma accompagnandolo con queste parole: «Non ci fu mai nulla di così mirabile in tutto il mondo». Nello stesso anno acquistò anche un manoscritto dell'Institutio oratoria di Quintiliano. Egli fu il primo a tentare creativamente la lettura combinata dei testi antichi (specialmente Plinio e Quintiliano) per intendere il lavoro degli antichi maestri. Nel trattato De remediis utriusque fortunae, Petrarca inserì un capitolo de tabulis pictis e uno de statuis, attingendo a Plinio e a Quintiliano e cogliendo i punti in comune fra loro.
Al primo traduttore di Plinio in volgare, Cristoforo Landino (1476), si devono concise notizie sugli artisti (specialmente fiorentini) nei suoi commenti a Orazio e a Dante. Una conoscenza di Plinio (ma anche di Vitruvio) è il presupposto di ogni altro scritto del Quattro e Cinquecento italiano, come ad esempio il Libro di Antonio Billi (ante 1520) o l'Anonimo Magliabechiano (ante 1542). Fra Quattro e Cinquecento, abbozzi storici ed elenchi di artisti e di opere si vanno facendo dappertutto, sempre con forte marca locale: basti richiamare i gusti della corte di Napoli rispecchiati nel De viris illustribus di Bartolomeo Facio ( 1456 circa), il poema in terza rima del padre di Raffaello, Giovanni Santi, le liste romane di Raffaello Maffei (1506), e a Venezia il cantiere incompiuto di Marcantonio Michiel (che su Napoli si informava dal suo corrispondente Pietro Summonte, 1524). LEGGI TUTTO...

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